Di Cristina Maccarrone
Oltre a contrassegnarsi per un patrimonio artistico e culturale di grande rispetto, il bel clima e il buon cibo, l’Italia si caratterizza da sempre per avere numerose imprese a conduzione familiare. Più che numerose, sarebbe più corretto dire prevalentemente familiari: si tratta infatti dell’85% del totale.
A dirlo sono i dati diffusi nel 2015 da EY Italia e Ey Mediterranean Managing Partner all’interno dell’EY – Family Business Yearbook 2014 che parlano, con esattezza, di 748mila aziende di questo tipo che rappresentano il 70% dell’occupazione. L’Italia però non è sola: a farle compagnia ci sono anche Francia, Germania, Regno Unito e Spagna che hanno percentuali simili, ma tendono a differenziarsi per la struttura organizzativa.
Nel nostro Paese, un’azienda familiare resta… alla famiglia e infatti il 66% di chi la gestisce ha lo stesso sangue o comunque una parentela molto stretta, mentre in Francia una situazione simile si riscontra solo nel 26% dei casi e, se più ci spostiamo a Nord, la percentuale si abbassa: in UK è del 10%. Le nostre sono però particolarmente longeve: basti pensare che tra le prime 100 aziende più antiche al mondo ce ne sono 15 del nostro Paese di cui 5 ancora attive: le Fonderie Pontifiche Marinelli, Barone Ricasoli, Barovier & Toso, Torrini e Marchesi Antinori.
"Questo passaggio di testimone in Italia non è affatto indolore e soprattutto può richiedere tempo".
Di padre in figlio? Non è così facile come sembra
Avere nel management gente che si conosce e con cui si condivide una storia familiare potrebbe sembrare un punto a favore soprattutto quando si tratta di affidare l’azienda a chi “viene dopo”. Ma questo passaggio di testimone in Italia non è affatto indolore e soprattutto può richiedere più tempo di quanto si immagini, addirittura 3 anni e mezzo. A dirlo è una ricerca del Cerif – Centro di ricerca sulle imprese di famiglia dell’Università Cattolica di Milano, che fornisce altri dati interessanti su come avvenga questa staffetta: coinvolge una media di 3,5 membri della famiglia e di 1,5 consulenti o altri attori chiave.
Quattro tipi di passaggio generazionale
Il campione su cui è stato effettuato il sondaggio, tra il 2016 e il 2017, riguarda PMI con fatturato tra i 15 e i 150 milioni di euro che hanno affrontato e gestito il passaggio generazionale. Che sostanzialmente può essere di 4 tipi:
- Dinamico: stimolato da elementi di discontinuità interni ed esterni da parte di chi dovrebbe prendere in eredità l’azienda. Per discontinuità con la gestione in corso, si intendono per esempio: l’avvio di una startup per l’erede, la crescita aziendale per acquisizioni e l’internazionalizzazione. In questo caso, il proprietario o fondatore vede i risultati positivi ottenuti dall’erede ed agevola il passaggio di testimone.
- Traumatico: quando il fondatore scompare all’improvviso. È normale che non si tratti di un processo avviato o definito, ma bisogna subito dare segnali forti perché banche, clienti e fornitori fanno pressioni affinché ci siano certezze e l’azienda venga condotta bene. Un caso esemplificativo è quello che ha coinvolto l’azienda Campari quando Luca Garavoglia successe al padre a soli 24 anni. Domenico, scomparso a 64, aveva sì pensato a inserirlo nella società ma non si sarebbe mai aspettato che questo avvenisse così improvvisamente.
- Aventiniano: quando, come dice la parola, la secessione è volontaria. Ossia il fondatore o l’AD decidono di ritirarsi e lasciano l’azienda agli eredi. Una situazione positiva perché è frutto di una pianificazione e di un passaggio generazionale lento, graduale, ma anche “accompagnato”.
- Tira e molla: come si intuisce, tutt’altro che una staffetta tra chi dovrebbe avere a cuore il bene dell’azienda. Fondatore ed erede/eredi non riescono a mettersi d’accordo, ci sono continui rimpalli, deleghe incomplete e in questo caso la percentuale di non riuscita è piuttosto alta.
Un ricambio inevitabile: molti leader hanno più di 70 anni
Tutto questo fa capire come il ricambio generazionale all’interno delle PMI sia tutt’altro che facile, ma sempre più necessario: secondo Guido Corbetta e Alessandro Minichilli, docenti della Cattedra AiDAF-EY di Strategia delle aziende familiari dell’Università Bocconi: il 23% dei leader di aziende familiari ha più di 70 anni”. Inoltre: il 18% delle aziende familiari avrà un passaggio generazionale nei prossimi 5 anni e sarà particolarmente delicato visto che solo il 30% delle aziende sopravvive al proprio fondatore e solo il 13% arriva alla terza generazione.
"È importante che chi dovrà raccogliere il testimone si formi in realtà aziendali diverse e soprattutto possa fare un’esperienza da dipendente".
Il cambiamento? Parte dai figli ancor prima che entrino in azienda
Un’azienda familiare che vuole continuare a essere tale, a rispettare la tradizione, continuando a innovare o iniziando a farlo, deve prevedere sì il coinvolgimento dei figli nelle attività (non si può pensare che non conoscano direttamente l’azienda fino a che non è il “loro momento”), ma anche e soprattutto la possibilità che questi si formino da altre parti.
Puntare sul merito e non sul nepotismo è fondamentale sia per garantire il successo dell’azienda che per il rapporto con i dipendenti stessi. Ecco perché è importante che chi dovrà raccogliere il testimone, oltre a un percorso di studi ad hoc, si formi in realtà aziendali diverse e magari più grandi, che possa acquisire competenze anche trasversali e soprattutto possa fare un’esperienza da dipendente. Questo aspetto è tutt’altro che trascurabile: solo chi ha lavorato per altri – come magari ha fatto il fondatore dell’azienda se è un self made man – può capire le esigenze dei lavoratori, la difficoltà di chi si trova a seguire delle regole, ma anche quali sono le condizioni migliori perché la gente si senta serena mentre svolge la sua professione. E riuscire così a guadagnare la loro fiducia anziché essere “imposto” dall’alto.
7 condizioni per un passaggio generazionale di successo
Nella “Guida per i passaggi generazionali: condizioni di successo, errori da evitare e case history” (scaricabile gratuitamente) redatta per Assolombarda da Menichilli e Corbetta, i due studiosi hanno individuato i 7 aspetti per un passaggio di testimone senza intoppi.
Tra questi: distinguere l’impresa dalla famiglia, definire le regole del cambiamento, il processo e gli obiettivi e affidarsi a terzi. Ci soffermiamo in particolare su questo punto.
Se un advisor può essere la risposta giusta
Lo abbiamo visto: un passaggio deve essere “accompagnato” oppure coincidere con una necessità di crescita e innovazione. Ecco perché può diventare determinante affidare la gestione del processo a un advisor o un advisory board che possa mettere in atto un vero change management. Ossia gestire il cambiamento fornendo strumenti e processi per riconoscerlo, affrontarlo e soprattutto gestirne l’impatto umano che, come abbiamo visto, in un’azienda familiare è tutt’altro che trascurabile. Perché? Perché per esempio può diventare un’esigenza imprescindibile quella di cambiare un modello di business non più attuale o adatto al mercato. E questo può generare attriti da parte chi ha fondato l’azienda nei confronti di chi gli succede. Il timore di “rovinare quello che si è costruito con fatica” è dietro l’angolo, ma avere una terza o terze persone aiuta tutti gli attori a focalizzarsi sull’obiettivo principale: far crescere l’azienda.
Inoltre un advisor può colmare dei vuoti di conoscenza sia da parte di chi dovrà guidare l’impresa che del fondatore, far vedere altri casi di successo in modo da mostrare come quello dell’impresa in questione non sia un caso unico. E ancora: ridurre il carico emotivo.
Per fare tutto questo è ovviamente necessario che l’advisor abbia il favore e la fiducia di tutta la famiglia, condivida i valori dell’azienda, sia consapevole della difficoltà di un passaggio generazionale e dei tempi richiesti (3 anni e mezzo non sono pochi!) e aiuti le parti in gioco a mettersi in discussione.
D’altra parte, come diceva il sociologo Zygmun Bauman: “L’incertezza, che dell’insicurezza è la causa principale, rappresenta di gran lunga lo strumento di potere più incisivo, anzi, la sua essenza stessa”.