Dopo il terremoto, può la produzione di latte dare sostentamento a questa famiglia allargata?
di Ludovica Galeazzi
La pioggia batte sul tetto della stalla mentre Maiko sparge il fieno con il forcone. È il primo giorno di autunno e il tempo ce lo vuole ricordare.
“Abbiamo quasi finito qui, poi andiamo a casa dove mia moglie Monica ci aspetta con il caffè caldo”.
Penso che sia una gentilezza verso noi cittadini non abituati alle avversità della vita degli allevatori. Invece è un’abitudine di famiglia.
“Un caffè a metà mattina lo prendiamo sempre. Dopotutto non erano nemmeno le 6 di mattina quando abbiamo iniziato con la mungitura delle mucche”.
L’allevamento è un lavoro di famiglia per Maiko, e questa mattina in stalla sono presenti tutte e quattro le generazioni. C’è il nonno Ottavio, che nonostante i suoi 94 anni continua a pulire la stalla. C’è il padre Sebastiano che porta la carriola con il mangime, e ci sono i due figli di Maiko, Stefano e Davide. Accarezzano i vitellini e rispondono alle mie domande come se fossero a scuola.
“Le razze delle bestie: pezzata rossa, frisona e pezzata nera. Papà le munge due volte al giorno. Guarda quella, ha partorito da poco e il suo vitellino è questo qui”.
Affrontare il terremoto
" Il terremoto è una sensazione che ti senti dentro. Ancora mi vengono i brividi, siamo usciti di casa e tutto ancora tremava".
Alle 3.36 del 24 agosto Maiko era sul trattore. Se c’è bisogno, in campagna si lavora anche quando gli altri dormono. E quella notte, quando ha capito che la terra ballava per il terremoto, è corso a casa per portare fuori i figli.
Suo padre, Sebastiano, invece era a casa ad Amatrice. “Il terremoto è una sensazione che ti senti dentro. Ancora mi vengono i brividi, siamo usciti di casa e tutto ancora tremava. Tutto intorno a noi era distrutto”.
La distruzione ha colpito anche la stalla di Maiko. Ha puntellato lui stesso le colonne: un’accortezza fondamentale per evitare ulteriori danni.
Dopo il terremoto è arrivato l’autunno e poi l’inverno. Sono stati mesi duri, soprattutto quando la neve ha completamente isolato la fattoria per due giorni. Monica mi racconta che “Maiko non riesce a stare con le mani in mano. Non ha voluto aspettare lo spazzaneve e ha liberato la strada con il nostro trattore”.
Nella sua voce si sente un certo orgoglio quando dice che “se la sono cavata da soli”, con questo modo di fare, di lavorare, aggiustare, sistemare. Penso ad un altro mondo – quello della città – dove il senso pratico si è quasi perso.
Eppure il senso pratico non è sufficiente per affrontare i traumi del terremoto. La casa di Maiko e Monica è agibile, ma lei non riesce a tornarvi da sola. Se deve entrare in casa, è sempre in compagnia. E mai con la pioggia e il temporale: le ricorda la scossa di Gennaio – quando non riusciva a capire se il boato che sentiva era quello dei tuoni o del sisma.
I genitori e i nonni non sono stati così fortunati: le loro abitazioni sono state dichiarate inagibili. Tutti loro sono entrati da poco nelle SAE, le casette provvisorie.
I nonni sembra che la prendano con filosofia (contadina). Forse chi ha affrontato la Seconda Guerra Mondiale ha vissuto drammi più grandi della perdita di una casa.
La saggezza contadina si riflette nelle parole che mi dicono: “Abbiamo sempre lavorato. In passato lavorare in campagna era faticoso e duro. Ora con tutti i macchinari l’allevamento è un gioco”.
"Ottavio è come un libro meraviglioso".
Ora che l’attività pesante è passata alle giovani generazioni, il nonno Ottavio passa il tempo intagliando mucche di legno. Le intravedo ovunque: appese nel soggiorno, appoggiate davanti alla stalla, e – imperdibile – davanti casa la “mucca a dondolo” su cui giocano i bambini.
Maiko è commosso quando parla del nonno. “Ottavio è come un libro meraviglioso. Ha vissuto tante esperienze e ha tante storie da raccontare a noi e ai bambini. Anche mio padre è un gran lavoratore – capace do aggiustare tutto. Siamo molto uniti, e spero che anche i miei figli crescano prendendo il meglio della famiglia”.
Rinnovare il lavoro
"Per me fare il formaggio è quasi una terapia".
Quando Maiko è subentrato nell’azienda di famiglia, si è reso conto che era difficile vivere solo sulla vendita del latte. Per questo ha deciso di cominciare a fare il formaggio, rispolverando l’esperienza decennale di suo padre Sebastiano, che ha lavorato come casaro ad Amatrice.
Grazie all’aiuto di alcune associazioni ha acquistato un caseificio mobile: un piccolo prefabbricato. Che è diventato il regno della moglie, Monica.
“Per me fare il formaggio è quasi una terapia” dice mentre si mette il grembiule ed i guanti.
Circondata da bestie e bambini schiamazzanti, posso immaginare che il piccolo caseificio sia un’oasi di pace e tranquillità. E vedo Monica concentratissima in tutti i passaggi: versa il latte – munto la mattina stessa – nel paiolo, lo scalda e lo gira in continuazione, controllando la temperatura. E poi, una volta cagliato, lo versa nelle forme che ripone in frigo. Sorride quando mi dice che domani saranno diventate primo sale e ricotta.
Come superare i danni del terremoto?
"Non molliamo, siamo nati qui e ci piace questo territorio. Speriamo che il terremoto non ci cacci via".
“Ci serve aiuto per riparare la stalla, che è lesionata e deve essere sistemata per permetterci di lavorare con tranquillità” mi spiega Maiko.
Tuttavia, la principale preoccupazione dell’allevatore non è legata al terremoto ma al prezzo del latte. Anche se il consumatore può arrivare a pagare quasi 2 Euro al litro, il prezzo del latte alla stalle è 36 centesimi. Troppo poco per mandare avanti un allevamento.
Prima del terremoto un ristoratore locale comprava gran parte del formaggio. “A seguito della chiusura del ristorante abbiamo dovuto ridurre la produzione e lavoriamo su ordinazione. Ma non molliamo, siamo nati qui e ci piace questo territorio. Speriamo che il terremoto non ci cacci via”.
Spero per loro che il formaggio si riveli redditizio. Con l’esperienza decennale della famiglia e l’energia e voglia di fare di Monica le premesse ci sono tutte.
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