Nell’ambito dei progetti ispirati a questo tipo di agricoltura convergono tutte quelle iniziative promosse sul territorio da enti locali pubblici e privati che coinvolgono aziende agricole, cooperative sociali e realtà operanti nel settore agricolo e alimentare.
di Erika Facciolla (TuttoGreen)
L’obiettivo principale dell’agricoltura sociale è favorire l’inclusività e l’integrazione di chi vive ai margini della società, anziani, ospiti di comunità o individui diversamente abili. Ma è anche un modo per produrre beni da immettere nel mercato, un’occasione di socialità e condivisione per i membri della stessa una comunità.
Il suo valore socio-economico è testimoniato dall’attenzione crescente che governi locali e regionali – in maniera diretta o indiretta – riservano alle politiche applicate nell’ambito dei programmi di welfare territoriale. In pratica, si investono risorse pubbliche attraverso l’associazionismo e la cooperazione per dar vita a programmi basati sull’aggregazione e sull’interazione tra agricoltura e terzo settore.
Nella vecchia fattoria
In Italia, come nel resto d’Europa, la formula più utilizzata per trasformare queste politiche in strumenti operativi sul territorio è la cosiddetta ‘azienda agri-sociale’ o ‘fattoria sociale’. Si tratta di una fattoria a tutti gli effetti, con tanto di animali al pascolo e orti, gestita da più persone che si costituiscono come soci e che collaborano affinché l’attività sia economicamente sostenibile.
I frutti di questo lavoro, infatti, vengono venduti sul mercato al pari di qualsiasi altra impresa zootecnica o agricola, solo che tutto si svolge in modo ‘integrato’ e solidale. Portatori di handicap, anziani, tossicodipendenti, detenuti, abitanti di aree geografiche fragili sono i protagonisti principali di questo tipo di impresa.
"la fattoria sociale è un’opportunità di reinserimento nel mondo del lavoro, una vera e propria riappropriazione del proprio ruolo in società".
Ai lavori di routine della classica fattoria si unisce la sperimentazione di percorsi riabilitativi, terapeutici e reintegrativi sulla strada dell’inclusività. Per alcuni, l’esperienza della fattoria sociale si trasforma in un’opportunità di reinserimento nel mondo del lavoro, una vera e propria riappropriazione del proprio ruolo in società attraverso l’acquisizione di tecniche professionali e pratiche agricole spendibili nel settore. Per altri, soprattutto per gli anziani, rappresenta un’occasione di aggregazione e riscatto sociale. Per gli enti pubblici e le istituzioni coinvolte è senz’altro uno dei modelli di welfare più positivi ed efficaci per promuovere la cosiddetta ‘longevità attiva’ in ambito rurale.
Per raggiungere un pubblico di fruitori più vasto possibile, le aziende agricole che intendono entrare a far parte di un progetto di agricoltura sociale devono iscriversi ad una rete locale (consorzio, associazione, circolo, cooperativa, ecc) e rivolgersi all’ufficio servizi sociali del comune di appartenenza. Ci si può recare anche alle ASL del territorio per conoscere i distretti socio-assistenziali attivi in zona e aumentare così le possibilità di stipulare una convenzione con uno o più di distretti.
In generale, se si vuole accedere ai finanziamenti pubblici riservati all’agricoltura sociale, le possibilità migliori sono quelle offerte dal Fondo Sociale Europeo, in particolare dal Programma di Sviluppo Rurale 2014-2020.
L’orto del vicino è sempre più verde
Ispirata ad analoghi propositi e finalità è anche l’esperienza degli orti condivisi o orti sociali che nel corso degli anni ha conquistato un ruolo di primaria importanza nell’ambito delle politiche di eco-socialità aggregata.
Ma cos’è un orto condiviso e come funziona esattamente? Qualcuno direbbe che si tratta di un terreno incolto di proprietà del Comune, dove non cresce e non succede mai niente fino a quando si decide di metterlo a disposizione della comunità. Ed è qui che inizia la magia e che quel pezzo di terra pieno di erbacce e rifiuti di ogni genere diventa uno spazio di rigenerazione ambientale, sociale ed economica.
"quel pezzo di terra pieno di erbacce e rifiuti di ogni genere diventa uno spazio di rigenerazione ambientale, sociale ed economica".
Che si tratti di un minuscolo appezzamento o di un’area più vasta, l’orto di comunità è un’esperienza positiva per chi ci lavora e per i comuni stessi, che riescono a provvedere alla manutenzione di aree altrimenti destinate al degrado e senza spendere un centesimo. E a guadagnarci sono in primis i volitivi contadini urbani che dedicano parte del loro tempo libero ad un’attività gratificante e all’aria aperta, che stimola la socializzazione con i ‘vicini di orto’ e fa bene a mente e corpo. Ci guadagna anche l’ambiente, poiché l’agricoltura di comunità ha un ruolo attivo nella conservazione del territorio e nella tutela della biodiversità. Senza considerare che è il modo più immediato ed efficace per tenere vive le antiche tradizioni e tecniche agricole.
La concessione degli orti sociali avviene generalmente tramite bando pubblico. Le aree destinate al progetto vengono suddivise in lotti da 40-50 mq e i richiedenti aggiudicatari di un singolo lotto ‘promettono’ di prendersi cura di quello spazio per un periodo di tempo prestabilito ed eventualmente prorogabile. In alcuni casi, il Comune può chiedere il versamento di una cifra simbolica, una sorta di caparra che poi viene restituita alla scadenza del periodo di ‘possesso’. Chiunque può partecipare al bando e presentare domanda di iscrizione alle graduatorie presso gli uffici competenti del proprio Comune.
L’agricoltura sociale in Italia
In Italia l’agricoltura sociale è regolamentata da una recente disposizione, la Legge 141 del 18 agosto del 2015. È la stessa normativa che si occupa di censire e monitorare tutte le esperienze e le iniziative di agricoltura sociale attive sul territorio nazionale.
Secondo i dati del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, in Italia l’agricoltura sociale registra una crescita costante del 25% annuo. Il connubio tra mondo agricolo e terzo settore si conferma vincente anche nel nostro Paese: sono sempre più gli operatori e gli addetti (30 mila) e le aziende agricole (3 mila) coinvolti in progetti di agricoltura sociale, fattorie didattiche e orti sociali per un fatturato annuo che sfiora i 200 milioni di euro.
"Fare agricoltura sociale in Italia significa anche scegliere di produrre in modo equosolidale".
Fare agricoltura sociale in Italia significa anche scegliere di produrre in modo equosolidale, talvolta recuperando i terreni confiscati alle mafie, oppure adoperarsi in difesa dell’ambiente per preservare la biodiversità in città.
Una delle realtà più ammirate nel panorama nazionale è la Fattoria sociale delle ragazze e dei ragazzi di Montepacini (Fermo), che nel 2017 ha ospitato il Forum Nazionale dell’Agricoltura Sociale, a testimonianza del successo di questa esperienza divenuta modello di riferimento anche in Europa. Dal 2012, infatti, la fattoria in collaborazione con il comune di Fermo sostiene un progetto finalizzato all’ inclusione sociale di minori e giovani adulti disabili attraverso pratiche agricole e piccolo allevamento.
Anche le Banche Cooperative hanno dimostrato di possedere i requisiti e le risorse necessarie per attivare sul territorio forme di inclusività sociale basate sulla cooperazione e la condivisione comunitaria. Queste banche eticamente orientate si propongono come società di persone, non di capitali e anno dopo anno aiutano i loro soci a scrivere tante storie di territori, famiglie e di imprese che vogliono farcela. Storie ispirate ai principi della tutela ambientale e della solidarietà sociale, guidate da quella filosofia che esalta la capacità del Credito Cooperativo di sostenere l’auto-sviluppo, il protagonismo delle persone, delle comunità e dei territori.