Il 2017 è stato l’anno del boom per il biologico in Italia. Un trend in costante crescita che riflette le nuove aspettative dei consumatori e la volontà degli operatori dell’agroalimentare di soddisfarle. C’è chi parla di un ritorno al passato, chi invece lo considera il futuro del settore. Di certo, nel carrello degli italiani finiscono sempre più prodotti derivanti da agricolture biologiche. Perché ‘BIO’ è ormai sinonimo di sicurezza e qualità.
di Erika Facciolla (TuttoGreen)
Più genuino, più sicuro, più sostenibile. In una parola: più buono. E poco importa se è anche più costoso. Il biologico è la scelta preferita da un numero sempre crescente di consumatori e famiglie italiane che hanno o stanno abbracciando la filosofia del mangiare bene e consapevole. Una tendenza in netta crescita – stando ai numeri che si registrano anno dopo anno – che stimola la nascita in un’economia florida e diversificata.
Si moltiplicano i negozi specializzati nella vendita di prodotti biologici; sui banchi della grande distribuzione aumentano i marchi di prodotti bio certificati; sempre più operatori dell’agroalimentare e aziende agricole si convertono al metodo biologico abbracciando quelle tecniche produttive basate sull’uso responsabile e sostenibile del suolo, delle risorse idriche e dell’aria.
A confermare il successo di questo modello sono i dati registrati nel 2017 che mostrano un significativo aumento delle vendite di prodotti alimentari biologici (+15%) per un giro d’affari che oggi sfiora i 3,5 miliardi di euro nel mercato domestico e i 2 miliardi in quello relativo all’export. Già, perché a trainare il mercato c’è anche il bio made in Italy che da solo rappresenta il 5% delle vendite complessive di generi alimentari che l’Italia esporta ogni anno nel Mondo (fonte: Nomisma, Istat).
Ma se è vero che per coltivare in modo biologico è necessario recuperare antiche tradizioni agricole e tecniche contadine, quello che stiamo vivendo è un ritorno al passato o un assaggio di quel che ci attende in futuro?
La risposta è entrambe le cose. Sì, perché l’esplosione del biologico non è solo questione di numeri, dati e cifre. È la prova tangibile del profondo rinnovamento che sta vivendo l’agricoltura, o per meglio dire, del suo ‘Rinascimento’. Un ritorno al vecchio che diventa nuovo e ad una tradizione che rispolvera la sua naturale vocazione all’ecologia, al rispetto dei cicli della terra e al benessere degli animali.
Falsi miti e (in)certezze normative
Ma chi è che sceglie di mangiare BIO e perché i cibi provenienti da agricolture biologiche certificate sono sempre più richiesti? Il 47% dei nostri connazionali, a quanto pare, porta in tavola un prodotto biologico almeno una volta a settimana. Solo nel 2017, inoltre, 1 milione di famiglie in più ha consumato regolarmente cibi biologici. A preferire il BIO sono proprio le famiglie con bambini, i vegetariani, i vegani e tutti coloro che hanno sposato una cultura alimentare ispirata ai principi della sostenibilità ambientale e del benessere. I consumatori biologici vogliono essere informati sulle origini dei prodotti che comprano, sull’eco-sostenibilità del packaging e sulla qualità delle materie prime, anche se costano quasi il doppio dei prodotti convenzionali. In gioco, insomma, c’è la sicurezza alimentare, la tutela dell’ambiente e un insieme di valori condivisi che non è barattabile con le offerte sottocosto dei prodotti ‘convenzionali’.
L’altra domanda da porsi riguarda l’aspetto normativo e le certificazioni che stanno dietro le etichette dei marchi BIO. Chi garantisce che ciò che mangiamo sia veramente biologico? Sappiamo che l’agricoltura biologica, per definirsi tale, deve rispettare determinati criteri di produttività, sostenibilità e tracciabilità in tutte le fasi della filiera. Semplificando, questo vuol dire che:
- Le colture devono essere ruotate in modo da garantire una gestione corretta del suolo.
- Pesticidi, fertilizzanti, antibiotici e altre sostanze chimiche sono sottoposte a pesanti restrizioni, in taluni casi addirittura bandite.
- Gli OGM sono vietati.
- Le risorse impiegate in agricoltura sono approvvigionate rigorosamente in loco (letame, mangimi, ecc.).
- Le colture e le specie animali devono essere selezionate in base alla vocazione naturale dell’ambiente circostante.
- Gli animali devono essere allevati all’aperto e nutriti con foraggi a loro volta biologici. Le pratiche di allevamento sono definite dalla singola specie e non da logiche standardizzate.
- Si prediligono tecniche colturali in grado di salvaguardare la sopravvivenza di insetti utili e la biodiversità.
- Si coltivano piante rustiche, più resistenti ai parassiti, e si utilizzano pratiche come il sovescio, la pacciamatura e il compost biodegradabile per fertilizzare e proteggere il terreno.
A livello europeo, il sistema di controllo è basato su un Regolamento Comunitario del 1991 che detta le linee guida per la produzione di frutta e verdura BIO. Dopo un lungo iter legislativo, dal 2021 questo regolamento sarà sostituito dal nuovo quadro normativo appena approvato dal Parlamento in materia di agricoltura biologica.
Tra le novità più importanti ci sono i controlli che avranno cadenza annuale; la possibilità per i piccoli produttori di ottenere certificazioni di gruppo e l’obbligo per le aziende miste di separare con chiarezza le coltivazioni biologiche da quelle convenzionali per evitare contaminazioni.
Oggi, il consumatore che vuole verificare la certificazione biologica di un prodotto deve cercare sull’etichetta il marchio europeo rappresentato da una fogliolina verde con le 12 stelline dell’UE intorno. Ma a ben vedere, ciò non garantisce affatto che quel che compriamo sia biologico al 100%, soprattutto nella grande distribuzione. I controlli, infatti, non sono abbastanza rigorosi e puntuali e tra normative nazionali e comunitarie, parametri riconducibili a leggi specifiche e quisquiglie burocratiche, attenersi ai protocolli può rivelarsi un gioco da ragazzi anche per i produttori su larga scala.
Prendiamo l’esempio dei biscotti. Pur essendo certificati come BIO, in molti casi è meglio leggere bene la lista degli ingredienti. Già, perché se si acquista un biscotto fatto con farina 00 – estremamente raffinata e magari sbiancata chimicamente – pieno di coloranti o additivi, non si può certo dire di portare a casa un prodotto più salutare e meno trattato.
Proprio a causa di questa estrema frammentarietà e incertezza normativa, è facile cadere nel tranello del cosiddetto ‘biologico industriale’, vale a dire nell’insieme di quei prodotti provenienti dalle multinazionali del food che stanno cavalcando l’onda commerciale del BIO convertendo a questo metodo solo una certa fase del processo produttivo. Una mossa utile a rinnovare l’etichetta, forse, ma non la sostanza di ciò che compriamo.
Il futuro è bio?
Questa breve riflessione sul mercato del biologico deve farci capire che c’è BIO e BIO. I prodotti che si definiscono biologici in virtù di una mera aderenza alle attuali disposizioni sono molto diversi da quelli proposti da agricoltori e artigiani che applicano questo metodo con sensibilità, attenzione e rigorosità contadina. Ecco perché il futuro del BIO è estremamente legato alla capacità e alla volontà di tutti gli attori coinvolti di intraprendere un percorso normativo chiaro e condiviso, tale da definire inequivocabilmente l’effettiva credibilità del marchio.
Ogni territorio, distretto agricolo o regione, inoltre, ha delle peculiarità che lo rendono unico e adatto ad esprimere determinare potenzialità. Sarà fondamentale puntare sempre più sulla vocazione del singolo territorio e coltivare prodotti ad esso rapportati se si vuole che il biologico diventi anche motore di sostenibilità ambientale. In altre parole, è inutile tentare di produrre mele nelle campagne agrigentine o milanesi dal momento che in Trentino esistono condizioni ben più favorevoli…
Di certo, puntare sullo sviluppo di queste pratiche non rappresenta la soluzione a tutti i mali che affliggono il Pianeta, ma è senz’altro un’assunzione di responsabilità – verso noi stessi e l’ambiente – che potrebbe rivelarsi determinante anche alla luce dei cambiamenti climatici in atto. Come? Riducendo la quantità di pesticidi e sostanze chimiche che finiscono nelle faglie acquifere e nell’atmosfera e limitando l’esposizione a pesticidi e gas inquinanti. Tutto questo dovrà coincidere con la creazione di ecosistemi locali intorno al cibo che preservino la biodiversità, mantengano intatta la tradizione e tutelino le peculiarità dei territori e delle comunità che vi lavorano.
Uno sforzo condiviso anche dalle Banche del Credito Cooperativo che supportano da tempo i modelli agricoli sostenibili con iniziative e azioni concrete. E dal momento che il destino di un piccolo produttore o di un agricoltore locale dipende sempre più dal tempo e dalla forza spesso incontrollabile della natura, le BCC hanno scelto sostenere l’intera filiera – dalla produzione, alla trasformazione, alla commercializzazione dei prodotti – attraverso una gamma di servizi finanziari adatti ad ogni singola esigenza. Come il micro-credito produttivo, che non è semplicemente un piccolo prestito, ma un supporto a 360° a servizio del beneficiario. Ed è il lavoro stesso a fare da garante al prestito: la garanzia del fare impresa nel territorio.