Come i prodotti tipici valorizzano il territorio

La tipicità in Italia gioca un ruolo determinante, ma per valorizzarla al meglio bisogna puntare su storytelling, cultura e consapevolezza.

Di Cristina Maccarrone

Le cipolle rosse di Tropea, il pane carasau sardo, il pistacchio di Bronte o territori che hanno da un lato le montagne e dall’altro il mare come la Liguria e le Cinque Terre, sono tutte cose che, se ci pensate, fanno parte della nostra cultura, della nostra forma mentis, del nostro modo di essere italiani.
Così tipici e allo stesso tempo così invidiati che, da qualche anno a questa parte, si parla di “Italian sounding”, espressione che indica la contraffazione alimentare di prodotti del Belpaese utilizzandone altri che “suonano come italiani”. Un esempio tra tutti? La mortadela siciliana prodotta in Canada (e no, la mancanza della doppia l non è un errore di battitura!) o il “Dobro Salama Napoli” realizzato in Croazia. O ancora la Salsa pomarola che si può trovare in Argentina.

E già, l’Italia e le sue tipicità regionali fanno gola a tutti, ma quanto quello che si pensa essere un nostro marchio riesce a dare un contributo economico, sociale e non solo, ai vari territori? Quanto la tipicità riesce davvero a valorizzare il posto da cui proviene?

 

cantine territorio

Sempre più turisti scelgono i prodotti tipici come souvenir

Una prima risposta a queste domande arriva proprio dal turismo: 4 italiani su 10, ossia il 42% del totale, quando sono in vacanza, come souvenir, a magneti e portachiavi preferiscono i prodotti del territorio. A dirlo è un’indagine Coldiretti/Ixè, resa nota durante l’assegnazione, il 20 luglio scorso, delle Bandiere del gusto 2018.

Solo il 19% dei vacanzieri torna a mani vuote, ma in generale formaggi, olive, salumi e conserve la fanno da padrone. E a questo si aggiunge un altro tassello: i percorsi enogastronomici. Accanto a spiagge, musei, ville, ecc., il 71% dei turisti sceglie di visitare cantine, aziende agricole, mercati, frantoi, dando la priorità a conoscere la parte produttiva di un territorio e a ciò che lo contrassegna a tutto tondo e in tutte le stagioni dell’anno.

"il 71% dei turisti sceglie di visitare cantine, aziende agricole, mercati, frantoi".

Questi 2 aspetti non sono sicuramente casuali, ma, come affermato dal presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo: “Buon cibo, turismo e cultura rappresentano le leve strategiche determinanti per tornare a crescere puntando sulle specificità di un modello produttivo unico”.

 

prodotti tipici pane

Oltre 1500 tipi diversi di pane, biscotti e pasta

Continuando poi sulla strada della tipicità, un ruolo importante hanno per l’appunto le Bandiere del gusto. Mentre le più note Bandiere Blu indicano i mari più puliti e le spiagge dotate di migliori servizi, quelle del gusto vengono assegnate alle regioni che espongono e fanno conoscere le loro specialità durante l’estate e lo fanno portando avanti regole tradizionali da almeno 25 anni.

"in Italia abbiamo ben 1525 diversi di pane, biscotti e pasta, 1428 verdure fresche e lavorate, 792 tipi di salumi, carni fresche e insaccati, 496 formaggi".

Nel 2018, sempre secondo la Coldiretti, in Italia abbiamo ben 1525 diversi di pane, biscotti e pasta (l’avreste mai detto?), 1428 verdure fresche e lavorate, 792 tipi di salumi, carni fresche e insaccati, 496 formaggi e così via. La regione Campania è quella che ha mantenuto 515 prodotti tradizionali, quindi al primo posto, a seguire la Toscana con 461 e il Lazio con 409. Fanalino di coda la Val d’Aosta con 36, ma d’altra parte è normale vista l’esiguità del territorio.
Proprio da questa regione, esattamente da Cogne, però, viene un prodotto tipo poco noto eppure antico: il mecoulen. Cos’è? Un pane dolce, nato prima del panettone, che le contadine preparavano per Natale.
E il territorio si riscatta anche da episodi di cronaca tragici come quello dell’albergo di Rigopiano: da quella parte di Abruzzo infatti viene il pecorino di Farindola. E l’elenco potrebbe continuare con tante cose che sono poco note eppure così tipiche, da anni e anni.

Conoscete per esempio la rosa di Gorizia? No, non è un fiore, ma una varietà di radicchio che si chiama così proprio per il fatto di avere le foglie che tendono al rosa. Ovviamente, accanto a questi, ci sono anche i prodotti più famosi come le olive taggiasche liguri, la manna siciliana e tanto altro ancora.

La tipicità in Italia, di certo, non manca e i numeri diffusi dalla Coldiretti dimostrano che siamo sicuramente sulla buona strada perché questa abbia un ruolo sempre più attivo nella nostra economia.

 

Tipicità vuol dire non solo territorio, ma anche capitale umano

Certo è che il concetto di tipicità va anche rivisto perché spesso si rischia di usare la parola in maniera impropria. Per essere tipico, un prodotto deve indubbiamente subire un procedimento di riconoscimento selettivo e ben preciso. Sì, in alcuni casi sappiamo che ci sono i vari marchi come DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta), ma è fondamentale, al di là di questi, che un prodotto sia specifico di un determinato contesto geografico, ma non solo: che sia il risultato di determinati fattori naturali e umani.

"fondamentale che un prodotto sia il risultato di determinati fattori naturali e umani".

Perché, altro aspetto tutt’altro che trascurabile è anche la capacità tecnica che viene messa in atto, in particolare per i prodotti che subiscono una trasformazione. Pensate al notissimo pesto alla genovese: oltre alle materie prime, è fondamentale che sia preparato in un mortaio di marmo con un pestello in legno. Diversamente, non può chiamarsi così.

 

Puntare sullo storytelling del territorio

Altri aspetti determinanti poi sono la consapevolezza e la diffusione della cultura della tipicità. È importante che tutta la comunità di un borgo, di un paese o di un territorio sia protagonista attiva nel promuovere i prodotti, le attività e le tradizioni di un territorio.
Un prodotto tipico, infatti, ha dalla sua unicità, qualità, tecnica e una storia tutt’altro che recente. Ecco perché è sempre più importante anche lo storytelling del territorio che, puntando sull’empatia, sulla capacità di suscitare emozione, riesce a coinvolgere sia il turista che chi è di passaggio così come chi è interessato a nuovi mercati.
È quanto ha fatto, per esempio, Promoturismo Friuli Venezia Giulia che, qualche anno fa, ha dato vita all’iniziativa dal titolo “Friuli Venezia Giulia Live Experience” con  cui invita ambassador locali a raccontare il territorio friulano in base alle loro passioni. Il tutto documentato su www.fvgliexperience.it.

 

La legge Realacci per favorire i comuni fino a 5mila abitanti

Oltre allo storytelling, una spinta notevole viene anche dalla legge Realacci, la 158 del 6 ottobre 2017, che prevede misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni e 15 milioni di euro all’anno per il periodo che va dal 2018 al 2023.

Obiettivo? Incentivare la specificità del patrimonio naturale, rurale, storico e culturale dei comuni con residenti fino a 5mila abitanti.
Non vale ovviamente per tutti: la priorità va a quelli interessati da fenomeni di dissesto idrogeologico, da arretratezza economica, in cui è diminuita significativamente la percentuale di abitanti o caratterizzati da condizioni di disagio insediativo.
Un sostegno in più insomma per far sì che i territori con le loro tipicità escano fuori dal localismo e vadano sempre più verso una riscoperta della loro unicità, sia per se stessi che per chi ha voglia di guardare il mondo con occhi diversi.

 

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