Puntare sull’economia locale o su prodotti che possano sfidare i confini e arrivare in qualsiasi parte del mondo? Economia locale o globalizzazione? Un tema, o meglio una dicotomia, che anche nel 2018, a 12 anni da quando, secondo l’ONU, dovremmo raggiungere i famosi 17 obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, è tutt’altro che superata.
Perché, se è vero che l’avvento della globalizzazione, che poi si è tramutata anche in glocalizzazione, ha portato tanti vantaggi, non tutti sono d’accordo sul fatto che un’economia con “caratteristiche mondiali” e che metta il territorio in secondo piano possa essere la soluzione.
Il caso Starbucks: la globalizzazione minaccia l’economia locale?
Senza restate troppo nel teorico, potremmo prendere come esempio l’arrivo imminente di Starbucks in Italia. Per molti l’apertura della caffetteria americana in Piazza Cordusio a Milano, prevista per settembre, è non solo attesa e salutata con favore, ma perfino necessaria. Per molti altri è invece una sconfitta per l’italianità.
La patria dell’espresso – dicono in molti – che bisogno ha di avere l’americana Starbucks? Risale a un anno fa l’articolo di Aldo Cazzullo sul «Corriere della Sera» che ha cavalcato le polemiche: “L’apertura in Italia di Starbucks come italiano la considero un’umiliazione. Perché Starbucks è il più clamoroso esempio al mondo di Italian Sounding: di prodotti che suonano italiani, ma non lo sono. In tutto il pianeta, a cominciare dalla casa madre americana, il menu è scritto in italiano, dall’espresso al cappuccino. Ma non è caffè italiano, non è lavoro italiano”.
Eppure, a differenza di quello che disse Cazzullo, c’è chi, come l’imprenditore napoletano del caffè Luca Carbonelli (che vende il suo caffè in tutto il mondo grazie all’e-commerce ed è molto attivo anche dal punto di vista digital), non la vede così male. Ecco le sue parole tratte da un’intervista pubblicata su Linkiesta un anno fa:
“È sicuramente una benedizione. Possiamo allargare la visione dell’imprenditoria italiana, andando oltre al tipico espresso come stile di vita. Questo ovviamente non vuol dire dimenticarne le origini o le usanze ma solo prestarsi a nuove pratiche che possono rivelarsi piacevoli e, perché no, anche più redditizie. Bisogna che i commercianti inizino ad ampliare maggiormente le loro visioni anche in un’ottica di contesto internazionale”.
E già perché in effetti le caffetterie e i bar poco avrebbero da temere. Starbucks rappresenta un certo tipo di caffè e interessa un certo tipo di cliente, che vuole consumare la sua bevanda camminando e così incarnando uno status ben preciso o magari passare delle ore in uno dei tanti punti vendita per usare il wifi, lavorare, leggere o semplicemente chiacchierare.
Chi sceglie il bar, lo fa sicuramente per un espresso che in genere consuma al bancone, per un rapporto che spesso è tutt’altro che anonimo tra cliente e barista. Insomma i bar e le caffetterie italiane difficilmente entrerebbero in concorrenza con un colosso come Starbucks perché rappresentano altro.
Anche il Papa a favore dell’economia locale
"Lo sviluppo economico locale crea imprese davvero libere capaci di integrare gli esclusi nella vita sociale".
La questione però, come dicevamo, apre sicuramente il dibattito tra economia locale ed economia globale su cui, per altro, qualche anno fa si pronunciò anche il Pontefice che, in una lettera indirizzata all’allora sindaco di Torino Piero Fassino e in occasione del Terzo Forum Mondiale dello Sviluppo Economico delle Nazione Unite disse: “Lo sviluppo economico locale sembra essere la risposta più adeguata alle sfide che ci presenta un’economia globalizzata e spesso crudele nei suoi risultati”.
E ancora che il locale “sembra essere una delle strade maestre per un vero discernimento etico e la creazione di imprese davvero libere: libere dalle ideologie, libere da manipolazioni politiche, e soprattutto libere dalle legge del profitto a ogni costo e della perpetua espansione degli affari, per essere veramente al servizio di tutti e reintegrare gli esclusi nella vita sociale”.
Papa Francesco aveva e ha davvero ragione?
Sicuramente è un punto di vista interessante, ma non tutta l’economia globalizzata – come per altro lui stesso sottolinea – è da buttare.
Vantaggi e svantaggi dell’economia globale
"la globalizzazione non è solo produzione di beni di consumo, ma anche trasferimento di conoscenze e diffusione di culture".
Non si può negare che la globalizzazione alcuni vantaggi li abbia introdotti. Diffusasi in particolare negli anni ’90, ha portato alcuni Paesi che ancora non si erano davvero sviluppati a farlo. Il caso della Cina è sotto gli occhi di tutti, ma non c’è bisogno di andare così lontano. Se vi guardate intorno, nella stanza in cui state leggendo questo articolo, o se lo state leggendo dal cellulare mentre siete in movimento, facilmente vi imbatterete in un prodotto Apple. Senza la globalizzazione – piacciano o meno i prodotti dell’azienda creata da Steve Jobs – difficilmente avremmo potuto conoscere il design di un certo livello applicato ai computer. O avremmo potuto mangiare un panino al McDonald’s a un prezzo davvero irrisorio. Se è vero che c’è gente – come chi scrive – che non va mai al McDonald’s, non si può però negare che il fast food importato dall’America abbia dato una bella spinta anche al così detto street food, dove c’è molto del cibo locale.
Ma restiamo ancora negli aspetti positivi della globalizzazione che non è solo produzione di beni di consumo, ma anche trasferimento di conoscenze e diffusione di culture. Pensiamo ai viaggi che anni fa erano costosissimi, mentre adesso sono alla portata di tutti, così come alle piattaforme di conoscenza globale come i vari MOOC (Massive Online Open Courses) grazie ai quali chi vive, per esempio, a Messina può partecipare a un corso dell’Università di Yale. Vi pare poco?
E ancora: mercati aperti (anche se per ora sembra andare di moda la chiusura delle frontiere), libertà economica, libertà di circolazione anche di chi cerca lavoro. Le occasioni si sono moltiplicate e le opportunità di business sono in continua crescita. Per non parlare della possibilità di lavorare, grazie a Internet (esempio lampante di globalizzazione), per qualsiasi azienda nel mondo, anche senza mai essere andati in sede e da qualunque parte del pianeta.
Il land grabbing
"Economia globale spesso vuol dire, come diceva anche il Papa, fare tutto in nome del profitto".
Di contro: il libero mercato ha acuito lo sfruttamento di territori e di lavoratori nei Paesi meno sviluppati. Una conseguenza, per esempio, per quanto riguarda l’agricoltura è il land grabbing. Termine inglese che sta per “accaparramento delle terre” indica quando una porzione considerevole di terreno viene venduta ad aziende o governi di altri Paesi senza il consenso della comunità locale. Terra dunque che viene tolta a chi la coltivava da anni e data a multinazionali che sfruttano quel terreno per coltivare prodotti che venderanno altrove o per la produzione di biocarburanti. Senza entrare troppo nel dettaglio, il land grabbing che appunto mina gli equilibri di molte comunità locali, è la causa di molte delle migrazioni cosiddette “economiche”.
Economia globale spesso vuol dire, come diceva anche il Papa, fare tutto in nome del profitto, dimenticando il territorio e la territorialità.
Frutti e tradizioni che scompaiono
Sempre restando nel campo agricolo ma non solo: per effetto della richiesta delle grandi catene dei supermercati, molti frutti non vengono più coltivati e molte delle generazioni più giovani non solo non li hanno mai mangiati ma neanche li conoscono. Questo perché magari sono meno belli da vedere o perché, come capita ad alcuni tipi di frutta, tra cui la pera cocomerina, devono essere consumati nel giro di breve tempo per non perdere le loro capacità organolettiche. Va da sé che questi frutti sono poco adatti a un mercato da grandi numeri.
Vantaggi e svantaggi dell’economia locale
" più che parlare di “economia globale vs economia locale”, forse sarebbe più corretto che i due approcci si incontrassero".
L’economia locale ha sicuramente tanti vantaggi: cerca di rispettare in primis il territorio e chi lo vive. Di esaltare i prodotti che hanno fatto la storia di quel luogo e non di farli scomparire in virtù del profitto. Di tramandare tradizioni e saperi che con l’economia globale rischiano di andare persi.
Non sono ovviamente tutti vantaggi. Spesso un’economia fortemente locale non è particolarmente innovativa o è soffocata dalla “chiusura mentale” di chi, restio a priori nei confronti di qualsiasi innovazione, non si accorge che è necessario anche sperimentare, prendere il buono di alcuni modi di fare business per mantenere quello che si è fatto fino a quel momento e per conservare i posti di lavoro.
Ecco, più che parlare di “economia globale vs economia locale”, forse sarebbe più corretto che i due approcci si incontrassero e avessero a cuore il bene economico del territorio, cercando di sfruttarlo – in senso positivo – al meglio. Come accennavamo sopra: il fast food stile McDonald’s sicuramente ha insegnato molto anche allo street food che punta sì sui prodotti locali ma che non disdegna un modo di consumarli “veloce”.
O sempre restando nel locale che innova, e nello street food, conoscete Bigoli Pasta? È il food truck che porta in giro la pasta più tradizionale del Veneto, i bigoli, di origine contadina e consumata già ai tempi della Repubblica di Venezia. O Friselleria, l’ape truck che porta a Milano le vere friselle pugliesi.
Cosa fanno le BCC
Le Banche di Credito Cooperativo hanno molto a cuore l’economia del territorio ma anche l’innovazione. Basti pensare al progetto RisorgiMarche: per il secondo anno consecutivo le BCC saranno a fianco del Festival musicale ideato da Neri Marcorè per aiutare la rinascita dei territori colpiti dal terremoto. Un festival in cui protagonisti sono la musica, la natura e l’economia locale.
O ancora altre iniziative locali come quella della BCC di Paestum che sostiene il carciofo di Paestum IGP e la festa a esso dedicata. O la BCC ravennate forlivese e imolese che, oltre a sostenere il territorio con interventi per la cittadinanza, è sponsor della fortunata e pluriennale manifestazione CinemaDivino che ha preso il via il 21 giugno scorso. Un evento culturale che mette insieme il cinema di qualità e il vino, eccellenza di quelle zone. Il tutto all’insegna di una parola d’ordine: integrazione, tra territorio e innovazione.