Può, un modello di sviluppo non più lineare come quello tradizionale, adattarsi alla micro economia del piccolo borgo e avere ricadute positive sul suo destino?
di Erika Facciolla (Tuttogreen)
Se si potesse riassumere in uno slogan il senso dell’economia circolare, si potrebbe dire che in questo modello economico ‘ogni fine corrisponde ad un nuovo inizio’. Già, perché fare economia in modo circolare significa disegnare un cerchio in cui tutto è destinato ad auto-rigenerarsi all’infinito senza mai diventare inutile.
Un flusso continuo e virtuoso di beni e servizi in cui il concetto di rifiuto semplicemente non esiste. In cui non ci sono ‘consumatori’ ma ‘utilizzatori’. In cui ogni bene, al termine del suo utilizzo, è destinato a trasformarsi in qualche altra cosa, fuori o dentro la biosfera. È quello che gli inglesi chiamano product-as-a-service, un sistema in cui non si possiede un oggetto ma lo si adopera come servizio per poi cederlo ad altri utilizzatori.
Come in natura, dove nulla viene sprecato e ogni scarto diventa elemento nutriente di un altro organismo, lo stesso deve accadere nei cicli produttivi, siano essi agricoli o industriali, attraverso il recupero, il riciclo e la rigenerazione continua delle risorse immesse in filiere rigorosamente corte.
Ma se è vero che l’economia circolare fa bene al pianeta perché oppone la cultura del riciclo a quella dell’usa e getta, come può diventare anche un’occasione di crescita e rilancio per le piccole comunità e per le imprese locali? Può, un modello di sviluppo non più lineare come quello tradizionale, adattarsi alla micro economia del piccolo borgo e avere ricadute positive sul suo destino?
Vantaggi e prospettive
Le chance che il modello circolare offre alle comunità locali sono evidenziate anche dalla politica adottata dall’Unione Europea che dalla fine del 2015 ha lanciato un ambizioso progetto per sostenere nuove forme economiche basate sulla ciclicità delle risorse. Dalla micro impresa locale al singolo consumatore, tutti i protagonisti di questa transizione sono potenzialmente coinvolti in una pacchetto di iniziative e finanziamenti per 5,5 miliardi di euro provenienti dai fondi strutturali comunitari e destinati principalmente a:
- Misure per la progettazione ecocompatibile di beni e servizi (eco-design) atte ad aumentare la riparabilità, la longevità e la riciclabilità dei prodotti, oltre che l’efficienza energetica
- Azioni per ridurre del 50% i rifiuti alimentari entro il 2030
- Iniziative a tutela della preservazione delle risorse idriche e dell’ecosistema marino, fluviale e lacuale
Nell’economia circolare, inoltre, lo scarto di uno diventa la risorsa dell’altro. L’innovazione tecnologica entra in sinergia con le abilità artigianali, creative e manifatturiere tradizionali. Ne è prova la quantità crescente delle piccole e medie aziende operanti nei più svariati settori che stanno mettendo in pratica con successo i principi dell’economia circolare e che collocano l’Italia in cima alla graduatoria europea, davanti a Paesi con un manifattura più sviluppata come Francia e Germania.
Secondo i dati pubblicati da Eurostat, il 18,5% delle risorse utilizzate nel sistema produttivo di queste aziende è materia prima seconda, cioè avviata a seconda vita dopo il primo utilizzo. E non è tutto: dopo la Gran Bretagna, il nostro Paese è il più efficiente tra i grandi Paesi europei nel consumo di materia (256,3 tonnellate per milione di euro prodotto), nonché uno dei più virtuosi per la quantità di rifiuti pericolosi recuperati (48,5 milioni di tonnellate). Il recupero, il riciclo e il riutilizzo di materia prima e rifiuti si traduce in un vantaggio economico e ambientale non indifferente, quantificabile in 17 milioni di tonnellate di energia primaria risparmiata e 60 milioni di tonnellate di Co2 sottratte all’atmosfera. E per le imprese ciò vuol dire costi produttivi più bassi, maggiore competitività e minore dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di risorse.
Storie di borghi “circolari”
Nonostante le difficoltà, i ritardi e le reticenze iniziali, c’è un’Italia che ha cominciato a scommettere sull’economia circolare facendo dell’innovazione e della sostenibilità le sue leve primarie. Non sarà la soluzione miracolosa alla crisi economica, ma le buone pratiche insite in questo modello suggeriscono cooperazione, inclusività e solidarietà e offrono spunti interessanti per valorizzare al meglio l’identità dei nostri borghi.
Passo dopo passo sono sempre più cittadini, associazioni, centri di ricerca, cooperative ed enti locali stanno a produrre piccoli ma significativi cambiamenti in grado di disegnare nuovi orizzonti nel futuro dei territori e delle loro comunità. E se è vero che per attuare il cambiamento l’approccio deve essere sistemico, è anche vero che a livello locale può e deve far leva sulla valorizzazione delle tipicità, delle specificità e delle peculiarità del made in italy declinato in piccola scala, legandosi ai valori sociali e culturali del territorio.
Un esempio?
Dalle campagne calabresi di Candidoni – piccola comunità da 400 abitanti in provincia di Reggio Calabria - arriva la storia della Fattoria della Piana, cooperativa attiva sul territorio che è diventata un fulgido esempio di economia circolare applicata all’agricoltura e al settore lattiero-caseario locale tramite la raccolta, la trasformazione e la commercializzazione del latte proveniente dagli allevamenti di 110 aziende, in sinergia con la più grande centrale agro-energetica del Sud d’Italia.
L’attività della cooperativa inizia dai 250 ettari di terra interamente coltivati o votati all’allevamento e prosegue in tutte le fasi della filiera: dall’aratura a raccolto, alla conservazione nei silos fino alle fabbriche dove si lavorano i prodotti della terra e il latte ovino, bovino e bufalino. Ricette casearie secolari tramandate di generazione in generazione convivono con le tecnologie più evolute che hanno consentito a questa felice realtà calabrese di conquistare il primato nazionale nella produzione di formaggio pecorino. Qui nulla va sprecato: gli scarti di produzione, il letame proveniente dalle stalle dei soci consorziati e i residui delle lavorazioni del siero vengono raccolti in fermentatori e trasformati in biogas che fornisce energia termo-elettrica alla fattoria e alle 2680 famiglie residenti sul territorio.
"Qui nulla va sprecato".
Una storia di eccellenze, tradizioni e sinergie che coesistono armoniosamente in un ecosistema perfetto in cui nulla è lasciato al caso, simbolo dell’Italia che crede e investe in questo modello economico per affrancarsi da certi scetticismi e pregiudizi.
Con lo stesso entusiasmo e convinzione, anche le Banche del Credito Cooperativo credono nel modello economico circolare come punto di partenza per ragionare sulle specificità territoriali, investire su forme innovative di localismo sano e competitivo, riscoprire ‘saperi e sapori’ che tengono unito il tessuto sociale e culturale proprio di ogni territorio. Le BCC vogliono contribuire a diffondere la rinascita dei borghi italiani ponendosi come espressione delle singole comunità di riferimento, senza perseguire la massimizzazione del profitto, ma cercando di ottenere vantaggi reali per i propri soci. Ecco perché ogni BCC non è semplicemente una banca, ma una vera banca di comunità.
E sempre a proposito di circolarità, l’indicatore di impatto della finanza geo-circolare mostra come per ogni 100 euro di risparmio raccolto nel territorio, le BCC ne impiegano in media 85. Di questi, almeno il 95% diventa credito all’economia reale di quel territorio. Ne beneficiano lavoro e reddito. Nessun altro tipo di banca svolge in Italia questa funzione di valorizzazione del risparmio delle comunità. Le BCC sono di fatto soggetti generativi di cambiamento, di auto-sviluppo e di sostenibilità sia sociale sia ambientale.