(Redazione TuttoGreen)
Boschi, giardini, parchi pubblici e cortili: luoghi del divertimento, sì, ma anche dell’apprendimento che sempre più spesso diventano aule a cielo aperto per i bambini delle scuole primarie statali e private. Un metodo didattico che negli ultimi anni ha raccolto moltissime adesioni da nord e sud del paese e che mette d’accordo proprio tutti.
Dirigenti scolastici, insegnanti, educatori e genitori sono sempre più convinti dei benefici psico-fisici derivanti dalle lezioni all’aperto e dalla validità di un approccio educativo incentrato sull’interazione con la natura.
"Dirigenti scolastici, insegnanti, educatori e genitori sono sempre più convinti dei benefici psico-fisici derivanti dalle lezioni all’aperto".
A confermare la bontà del metodo en plein air è intervenuta anche la scienza. Uno studio eseguito da un team di ricercatori statunitensi ha provato che studiare all’aria aperta migliora effettivamente il rendimento scolastico degli studenti.
Dopo un ciclo di lezioni fuori e dentro le aule, i ricercatori hanno misurato il livello di attenzione su un campione di bambini delle scuole primarie registrando più concentrazione, coinvolgimento e rapidità nell’eseguire i compiti tra gli studenti che avevano svolto la lezione fuori rispetto a quelli che erano rimasti in aula. Come dire, insomma, che l’effetto natura esiste davvero ed è tutt’altro che una distrazione.
Più bravi e più sani
L’Outdoor Learning – così lo chiamano anche in Italia – si basa su principi che rivoluzionano il tradizionale modo di concepire la didattica e il rapporto tra bambini e ambiente naturale, senza perdere di vista le discipline e le esperienze educative indispensabili alla formazione. Le pareti scompaiono, via banchi e sedie. Per andare a scuola si esce dalla classe, anche quando piove.
Archiviate le preoccupazioni legate al trascorrere tanto tempo al freddo o sotto la pioggia, i piccoli studenti vengono equipaggiati di banchi portatili, zoccoli, mantelli impermeabili e coperte. Il risultato? Un generale miglioramento delle condizioni di salute, aumento del peso corporeo, pochi malanni stagionali e ottimo profitto scolastico.
"Le pareti scompaiono, via banchi e sedie. Per andare a scuola si esce dalla classe, anche quando piove".
Lo sanno bene gli insegnanti e i genitori dei bambini che frequentano la scuola all’aperto ‘Fortuzzi’ dei Giardini Margherita, a Bologna, la cui fortunata esperienza è diventata pionieristica a livello nazionale. Qui si studia, si legge e si scrive trascorrendo più tempo possibile all’aria aperta, seguendo norme igieniche ben precise, otto ore al giorno tutti i giorni.
Che la scuola nella natura sia più sana e proficua lo hanno capito anche a Milano dove tra grattacieli e palazzi altissimi, è nato Dadà, un nido aperto ai bambini di età compresa tra 0 e 6 anni sviluppato su una superficie di 700 mq e che non ha niente da invidiare a un bosco vero: ci sono cascate, fiori colorati, un soffice manto erboso e un orto in piena regola dove i bimbi coltivano piccoli ortaggi e frutti che poi consumano durante i pasti.
Che sia bello o che sia brutto, insomma, non esiste condizione meteorologica in grado di impedire la lezioni all’aperto.
All’Istituto comprensivo ‘Rinnovata Pizzigoni’, sempre nel capoluogo meneghino, l’aula è diventata un non-luogo destinato a cambiare ubicazione ogni giorno. Si studia in posti sempre diversi e grazie agli accordi stretti con le aziende agricole del territorio, bambini e insegnati sperimentano percorsi educativi concreti, sviluppando competenze effettive nelle diverse discipline.
Come si diventa scuola all’aperto?
Ripensare l’educazione all’aperto vuol dire restituire ai più piccoli la possibilità di vivere a pieno il rapporto con la natura, sperimentarne le potenzialità ed esercitare le principali pratiche osservative direttamente sul campo. Che poi è anche un modo per ridare valore e dignità al territorio e alle comunità in cui si vive. Pedagogia e natura, ma anche arte, ecologia ed educazione al vivere civile, condensati in un nuovo modo di vivere la didattica destinato a giovare all’intero sistema scolastico. Sì, ma come si diventa ‘scuola all’aperto’ e quali sono i requisiti fondamentali che occorre possedere?
"l’educazione all’aperto vuol dire restituire ai più piccoli la possibilità di vivere a pieno il rapporto con la natura".
Il primo, forse il più importante, è l’impegno. Dirigenti, insegnanti, enti locali, genitori devono collaborare attivamente al progetto. Si deve verificare l’idoneità degli spazi a disposizione, la compatibilità con le attività che si vogliono promuovere e, se necessario, stringere partnership con parchi, fattorie didattiche e altre realtà funzionali al progetto stesso. E cosa ancora più importante, occorre procurarsi le coperture assicurative necessarie. Ma la strada è men tortuosa di quel che si possa immaginare…
Da qualche anno, in Italia, esiste una figura professionale riconosciuta ufficialmente che è quella di ‘facilitatore per la sperimentazione nelle scuole all’aperto’. Un vero e proprio consulente che mette a disposizione delle scuole il proprio know-how per supportarle nel processo iniziale di sperimentazione, formazione e programmazione della didattica outdoor. Senza dimenticare che il tutto si svolge all’insegna della gradualità: si parte dai percorsi scuola-natura e si procede, passo dopo passo, alle esperienze in fattoria, alle gite a tema e alle lezioni nei parchi.
Esiste anche una rete nazionale delle scuole pubbliche all’aperto promossa da un gruppo di scuole bolognesi che si riconosce nel “Decalogo delle Scuole Fuori” dell’Associazione Bambini e Natura. Si tratta di una rete aperta, plurale, che riunisce le esperienze di genitori, insegnanti, educatori ambientali, ricercatori e docenti universitari, italiani ed europei. L’obiettivo è definire gli strumenti educativi e promuovere l’adesione al protocollo operativo in cui si riconoscono le scuole pubbliche all’aperto.
Dal punto di vista strettamente educativo, invece, la buona riuscita della scuola all’aperto dipende dall’utilità didattica delle esperienze proposte. Far lezione fuori dalle aule non significa giocare o lasciare che i bambini facciano ciò che vogliono. Vuol dire avvicinarsi ad un modo differente – integrato ma ugualmente valido – di studiare e imparare. Un modo differente anche di insegnare che implica, per gli educatori, la partecipazione ad un percorso formativo supportato da figure esperte.
Ma ciò che più conta, in aula e fuori, è creare un ambiente coeso e collaborativo che trovi nell’insegnamento un mezzo per veicolare valori condivisi come il rispetto per l’ambiente, l’amore per il territorio e la solidarietà sociale.
Aiutare i bambini a sviluppare questi principi, avvicinarli alla condivisione e alla cooperazione, significa prepararli a diventare degli adulti capaci di azioni concrete, in un Mondo migliore. Un Mondo di piccoli e grandi sognatori costruito anche grazie alle Banche del credito Cooperativo che negli ultimi anni hanno riconosciuto oltre 3.000 borse di studio a famiglie, studenti e soci per un valore che supera i 5 milioni di euro, confermando il ruolo innato di banche di comunità.