Di Cristina Maccarrone
Se vi capita di parlare spesso dei pregi del nostro Paese – clima, arte, bellezza – aggiungete un altro tassello che riguarda la varietà del suo territorio e delle specie viventi.
No, non stiamo difendendo a spada tratta il Belpaese, che ovviamente di difetti ne ha, ma in questo caso sono i numeri a parlare. E in particolare quelli diffusi nel marzo 2017 dal rapporto “Il mondo dell’agricoltura biologica”, curato dall’Istituto di ricerca per l’agricoltura biologica (FIBL) e dalla Federazione Internazionale dei movimenti per l’agricoltura biologica (Ifoam). L’Italia si trova al secondo posto (dietro la Spagna) in Europa per l’estensione di superficie a biologico, 1.5 milioni di ettari, ma soprattutto detiene il record europeo per la biodiversità.
55.560 sono le specie animali che si trovano dalle Alpi alla Sicilia, pari al 30% di quelle europee e oltre 7mila quelle vegetali. In questo influisce anche qualcosa di cui spesso ci si dimentica, in particolare se si vive in città: sono ben 871 i parchi e le aree naturali protette che coprono il 10% del Paese.
"L’Italia nell’ultimo periodo è diventata una delle agricolture più green d’Europa".
Inoltre, come evidenziato dalla Coldiretti nella Giornata Mondiale della Biodiversità il 22 maggio, se è vero che l’Italia ha perso negli ultimi 100 anni 3 varietà di frutta su 4, è anche vero che nell’ultimo periodo ha invertito la rotta ed è diventata una delle agricolture più green d’Europa.
Sul nostro territorio, poi, ci sono 504 varietà iscritte al registro viti, contro le 278 dei francesi così come sono ben 533 le varietà di olive contro le 70 spagnole. Una biodiversità importante che, oltre a far sì che si conservi e preservi la tradizione italiana, aiuta a creare degli ecosistemi locali intorno al cibo.
Asino Romagnolo, Capra Girgentana e Mora Romagnola: la biodiversità nell’allevamento
Non sono infatti solo gli agricoltori i fautori della biodiversità italiana, un ruolo importante ce l’hanno anche gli allevatori. Sempre stando a Coldiretti, negli allevamenti italiani si è riusciti a salvare dall’estinzione ben 130 razze allevate. Tra queste: l’Asino Romagnolo, la Capra Girgentana e la Mora Romagnola.
Certo, i numeri non sono elevati, di Asini Romagnoli ne esistono solo 570 capi così come di Capra Girgentana 400, ma è bene soffermarsi sulle loro caratteristiche per capire quanto la loro esistenza sia fondamentale, non solo per aiutare a conservare antiche tradizioni, ma anche per il ruolo che hanno nelle filiere produttive del Made in Italy. Con il termine filiere produttive infatti si intende la sequenza di lavorazioni che sono effettuate per l’appunto in successione, che trasformano le materie prime in un prodotto finito. Nella filiera produttiva può essere una stessa azienda a svolgere tutte le fasi di realizzazione del prodotto finito così come possono intervenire più imprese.
Quanto agli animali a rischio estinzione, l’Asino Romagnolo è una varietà allevata in particolare in Romagna e di cui a inizio secolo scorso esistevano oltre 900mila capi. Al momento è tutelato dall’Associazione Italiana Razza Asino Romagnolo Allevatori e viene impiegato nella produzione di latte a uso pediatrico e nell’onoterapia, un tipo di pet therapy che si basa sulla sua pazienza e il fatto di essere particolarmente collaborativo.
Della biodiversità Made in Italy fa parte, come dicevamo, anche la Capra Girgentana che viene allevata in Sicilia, dove sembra arrivò grazie agli Arabi nell’800 d.C.. Caratterizzata da corna a forma di spirale, ha un latte destinato in particolare alla tuma “ammucchiata”, formaggio stagionato in fessure di muro in gesso e pietra in passato venivano murate per essere nascoste ai Briganti. Oggi si producono essenzialmente la robiola e un semistagionato e la capra è un presidio di Slow Food che cerca di valorizzare i formaggi prodotti dagli allevatori, dando loro un sostegno per avere una dignità economica e portandoli a incrementare i capi allevati.
Della Mora Romagnola, maiale dal mantello nerastro, esistono solo 15 esemplari contro i 22mila degli anni ‘50. A salvare gli ultimi rimasti è stato un allevatore di Faenza, Mario Lazzari. La Mora ha rischiato di scomparire perché cresce più lentamente rispetto ai fratelli bianchi ed è meno richiesta per la maggiore presenza di grasso nelle sue carni. Oggi è impiegata nella produzione di salumi e in altre tradizionali cotture casalinghe. Anche questo è un presidio Slow Food che riunisce nell’associazione “La mora del presidio” tutti gli allevatori che vogliono salvare la Mora e dall’estinzione, garantendo la sicurezza della filiera produttiva con una particolare attenzione al benessere dell’animale durante le fasi di allevamento.
L’agricoltura: tra la riscoperta di frutti e grani antichi all’innovazione
Ritornando all’agricoltura, come abbiamo detto l’Italia risulta essere la nazione più green e non solo per la sua vocazione al biologico, con 50mila aziende sul territorio che l’hanno scelto, ma anche per un rifiuto diffuso degli OGM che garantisce una tutela maggiore del patrimonio di biodiversità.
Certo, nel secolo scorso esistevano ben oltre 8mila varietà di frutta, contro le circa 2mila rimaste adesso, di cui ben 1500 considerate a rischio. Una situazione che, se pensate a ogni volta che fate la spesa nel supermercato, è avallata dalla GDO che privilegia le grandi quantità e la standardizzazione dell’offerta per abbattere i costi.
Stando sempre alla Coldiretti, questo modus operandi mette a repentaglio anche gli antichi semi della tradizione custoditi dagli agricoltori da generazioni.
L’importanza dello scambio di semi antichi…
Per questo è nata 5 anni fa a Messina la comunità “Sementi indipendenti” che, con la Banca dei Semi, si pone come obiettivi quello di contrastare i monopoli, salvare e riprodurre i semi biologici siciliani, supportare progetti di permacultura (un tipo di agricoltura che vuole durare nel tempo, con un impatto ambientale davvero ridotto).
Inoltre, esistono fiere di scambio di semi tradizionali e antichi, come quella che si è svolta nell’aprile scorso in Calabria a cadenza annuale. La fiera è solo la fase conclusiva del progetto Semi Autonomi, avviato dall’associazione Crocevia Calabria. Il progetto, in 3 fasi, prevede che nella prima i ragazzi dell’associazione, in bicicletta, vadano nell’entroterra calabrese per cercare semi tradizionali, rari e autoctoni. Nella seconda, questi semi vengono riprodotti rispettando il terreno e nella terza fase, i ragazzi ritornano nei luoghi in cui hanno recuperato i semi per dare vita alle fiere di scambio.
… e di frutti che hanno fatto la storia dell’Italia
Altre iniziative di valorizzazione riguardano la riscoperta di frutti dimenticati che però appunto sono molto “made in Italy”, così tanto che si trovano in quadri rinascimentali.
Conoscete la pera cocomerina? Viene coltivata sull’Appennino Cesenate, nel comune di Verghereto. Il nome si riferisce alla sua polpa rossa e ha come particolarità quella che deve essere consumata subito per non perdere le sue caratteristiche organolettiche. Viene impiegata in particolare per le marmellate e i liquori, mentre per il consumo diretto, come si intuisce, la sua eccessiva fragilità non la aiuta di certo ad andare nei supermercati.
A “salvarla” è un’associazione che con Slow Food cerca di conservare i pochi alberi rimasti e preservare tutta la filiera produttiva dal raccolto fino alla trasformazione finale. Il presidio, poi, oltre a inserire il frutto nell’Arca del Gusto (iniziativa di Slow Food per raccogliere tutti i prodotti a rischio estinzione), mira a censire tutte le piante presenti, assistere i coltivatori e creare un campo didattico sperimentale.
"La biodiversità del Made in Italy si basa anche sul fatto di portare innovazione in agricoltura ".
Non solo frutta. Le riscoperte riguardano anche grani antichi come il Senatore Cappelli, “ritornato” grazie alla SIS, Società Italiana Sementi, con capitale 100% italiano, detenuto dagli agricoltori attraverso i Consorzi agrari.
La biodiversità del Made in Italy si basa anche sul fatto di portare innovazione in agricoltura coltivando prodotti come fagioli azuki, fieno greco, spelta, fagioli Mung che si trovano spesso sulle nostre tavole, ma vengono da paesi esteri come Cina e Giappone. È il caso di Alessandro Riganelli, 34 anni, e della sua azienda Fitowell che ha sede nel cuore dell’Umbria.
Nel 2015 Il Parlamento ha approvato la Legge sulla Biodiversità che prevede, tra l’altro, la creazione di un Sistema Nazionale di tutela della biodiversità e di un fondo di 500mila euro annue per sostenere le azioni degli agricoltori, le cui modalità di funzionamento sono state meglio specificate tramite le recenti disposizioni pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale nel marzo scorso.
Perché se è vero che l’Italia ha imboccato una rotta sempre più green, è fondamentale che agricoltori e allevatori non vengano lasciati soli a combattere la battaglia in difesa di questo altro pezzo di ricchezza Made in Italy.