Avevo 25 anni quando sono entrato in Schnell. Ho accolto con qualche titubanza l’opportunità di lavorare nell’azienda fondata da mio padre. Ma quando ho capito che proprio la piccola impresa offriva molte possibilità di crescita, mi sono appassionato ed ho contribuito a cambiarne la rotta perché rischiavamo di affondare.
Una azienda italiana dal nome tedesco
La storia di Schnell inizia nel ’62; una sera a cena mio padre e tre amici esaminano un piccolo oggetto di ferro: il legaccio, una nuova soluzione per legare i tondini di ferro utilizzati in edilizia. Era un prodotto già di uso comune in Germania; poteva essere una buona idea anche in Italia!
Ciascuno dei quattro amici tira fuori 200 mila lire e con quelli si recano a fondare la società dal notaio. Serve un nome: il prodotto ha un’origine tedesca, rendeva più veloce la legatura… come si dice “veloce” in tedesco? Schnell!
Nel corso degli anni, all’iniziale legaccio si era affiancata la produzione di macchine per tagliare e piegare il ferro per le armature in cantiere ma non ci eravamo accorti della trasformazione strutturale che il nostro settore aveva subito a partire dagli anni ’80 : per le imprese di costruzione non era più conveniente lavorare il ferro in cantiere ed avevano iniziato ad appaltarne la lavorazione a terzisti che consegnavano il prodotto già pronto.
"Abbiamo la fama di essere degli innovatori".
Era chiaro che il vecchio tipo di macchine da cantiere non aveva alcun futuro. Dovevamo cambiare mercato: abbiamo iniziato perciò ad esplorare il settore delle macchine automatiche, cercando di recuperare il gap con i nostri concorrenti. Poi, durante una riunione con un fornitore, abbiamo scoperto l’esistenza di una nuova tecnologia: i servomotori elettrici. Non avevamo esperienza ma volevamo fare qualcosa di innovativo ed abbiamo deciso di adottare per primi quella nuova tecnologia per le nostre future macchine automatiche.
Quella scelta audace ha contribuito al nostro successo e all’immagine di Schnell come azienda innovativa. Prima, alle fiere portavamo macchinari semplici, grandi più o meno 1 metro per 2. Quando abbiamo presentato per la prima volta una macchina che era 10 metri per 5, abbiamo capito che avevamo iniziato a giocare una partita nuova.
Mercati moderni
Sono entrato in azienda quando “estero” significava sostanzialmente “Europa”. Adesso una impresa che ha ambizioni internazionali deve considerare l’Europa come il mercato domestico, e l’Italia come il mercato regionale.
Fino al 2008 vendevamo soprattutto in Italia e in Europa, ma negli ultimi anni la crisi del settore delle costruzioni ha colpito duramente il nostro continente. Abbiamo reagito come i pionieri, esplorando i mercati esteri più lontani.
In una nicchia globale
In Italia ci sono poche grandi aziende e nel nostro territorio quasi solo piccole o medie, come la nostra.
Ma anche questo tipo di aziende ha grandi potenzialità sui mercati esteri perché sono fortemente specializzate; lavorano in settori di nicchia molto ristretti e quindi devono compensare la estrema specializzazione con una forte presenza internazionale. Queste piccole o medie aziende hanno bisogno di un supporto bancario idoneo. La BCC, una banca radicata sul territorio, riesce a rapportarsi bene con queste imprese.
"La BCC ha fatto la scelta giusta avvicinandosi ad aziende, come noi, aperte alla dimensione internazionale".
Abbiamo sottoposto alla BCC un caso non semplice: volevamo un finanziamento per la nostra sede in Brasile, una operazione complessa anche a causa delle differenti normative tra i due paesi.
La BCC ci ha sorpreso: non si è tirata indietro di fronte alle difficoltà dell’operazione. Ci siamo incontrati e ci siamo trovati meglio con la BCC rispetto ad altre realtà che, sulla carta, erano più strutturate per effettuare questo tipo di operazioni internazionali.
Il rapporto tra banca locale e azienda che internazionalizza è mutuo e proficuo per entrambi. Da parte dell’azienda perché con la banca locale ci si capisce meglio, e da parte della banca locale perché sono queste le aziende che la sfidano ad andare al di là del “mutuo per la casa” e dei finanziamenti a piccole e medie imprese.
Clima di squadra
Abbiamo un ufficio risorse umane davvero ridotto per le nostre dimensioni, ma in qualche modo è l’ambiente di lavoro che fa la selezione del personale. Quando vedo che i nuovi arrivati si integrano perfettamente come se fossero qui da anni, capisco che è stata fatta una scelta felice non solo dal punto di vista professionale, ma soprattutto dal punto di vista umano, caratteriale e dei valori.
Il segreto è creare un clima di squadra. In una squadra ci sono i dirigenti, gli allenatori, i giocatori, ma il valore aggiunto è il clima “giusto” che fa capire a tutti la strada da seguire tra le fatiche, le sconfitte e le gioie.
Se si ha rispetto per le persone, il clima “giusto” viene da solo; se i collaboratori capiscono che i manager e i titolari si aspettano molto, ma li rispettano e lasciano spazio alla loro personalità, metà del gioco è fatto.
Trent’anni in azienda
Se il lavoro ti entusiasma, ti coinvolge e ti prefiggi obiettivi interessanti, non senti molto la fatica. E quando riesci – almeno in parte – a raggiungere gli obiettivi, pensi che ne è valsa la pena.
Ma quando faccio un bilancio di questi trent’anni in Schnell, oltre alle soddisfazioni, penso sempre che non c’è nulla di scontato. Non è facile far percepire la precarietà del successo che dipende da quanto impegno ciascuna persona mette nel proprio lavoro. Eppure basta dormire un po’, prendere poche decisioni sbagliate, e si rischia di perdere rapidamente quello che si è raggiunto.
L’unica cosa certa è il continuo cambiamento; il mondo di oggi è davvero in continua evoluzione.