Frane e alluvioni rappresentano fattori di rischio idrogeologico per il 91% dei comuni italiani
di Erika Facciolla (TuttoGreen)
Per l’Italia il 2018 è stato l’anno più caldo di sempre: secondo Legambiente sono stati 148 i fenomeni atmosferici “anomali” che si sono abbattuti lungo tutta la penisola con la loro lunga scia di morte, devastazione e danni al patrimonio architettonico e alle imprese. Un susseguirsi di alluvioni, trombe d’aria, esondazioni fluviali, grandinate, frane e smottamenti che hanno evidenziato ancora una volta la vulnerabilità del nostro Paese di fronte al rischio idrogeologico.
Oltre alle cause artificiali che riconducono all’azione dell’uomo, il dissesto idrogeologico è acuito anche da un mix di fattori naturali e dall’inquinamento atmosferico dal cui intreccio nascono situazioni ad alta pericolosità che caratterizzano la mappatura di quasi tutto lo Stivale. Per l’ISPRA (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale) l’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessato da erosioni, frane e alluvioni: oltre 7 milioni di persone risiedono in aree vulnerabili e il 20% del territorio nazionale è seriamente minacciato da questi fenomeni.
Non si tratta di eventi “eccezionali”, né tanto meno sporadici o circoscritti a poche aree. L’Italia, come altri paesi europei ed occidentali, deve fare i conti con le conseguenze di un clima che cambia, adeguare le proprie infrastrutture, proteggere territori e comunità dal rischio di un incombente disastro ambientale che lascia presagire scenari apocalittici.
"l’Italia è uno dei paesi europei maggiormente interessato da erosioni, frane e alluvioni".
Ma quali sono le cause, le cifre e soprattutto le possibili soluzioni per limitare i danni?
L’Italia e il rischio idrogeologico
L’ultimo rapporto dell’ISPRA sui dati del dissesto idrogeologico in Italia racconta una realtà tutt’altro che rassicurante: è a rischio il 91% dei comuni italiani, oltre 3 milioni di famiglie e circa un sesto della popolazione nazionale. 50 mila chilometri quadrati di suolo nel nostro Paese sono ad alto rischio frane e alluvioni e circa il 13% degli edifici sorge su aree a pericolosità idrogeologica elevata o molto elevata.
Toscana, Emilia-Romagna e Lombardia sono le regioni più esposte al rischio di frane e alluvioni, ma le cose non vanno meglio in Campania, Valle d’Aosta, Veneto, Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Sardegna e Trentino. A guardare bene, la mappa dei comuni interessati direttamente o indirettamente dal dissesto idrogeologico copre il 91% del totale. Oltre le comunità, le industrie e i servizi, anche il Patrimonio CulturaleItaliano è in pericolo. Le ultime stime parlano di 38 mila opere e beniubicati in aree a medio-alta pericolosità erosiva o franosa ai quali si aggiungono i 40 mila monumenti in zone a rischio inondazione.
"è a rischio il 91% dei comuni italiani, oltre 3 milioni di famiglie e circa un sesto della popolazione nazionale".
Cambiamenti climatici, abusivismo edilizio, errori di piantumazione sono i principali responsabili di questo disastro. E poi c’è l’urbanizzazione e la cementificazione selvaggia che ha comportato negli anni una profonda compromissione della copertura vegetale sul territorio nazionale. A tutto ciò si aggiungano altri fattori di rischio artificiali che aggravano o attivano i fenomeni alluvionali ed erosivi, quali:
- opere idrauliche sbagliate
- disboscamento di interi versanti
- argini mal realizzati
- briglie, invasi, dighe e ponti che “tagliano” i versanti
- prelievi massicci di sabbia e ghiaie dagli alvei dei fiumi
- impermeabilizzazione del suolo
- abbandono dei terrazzamenti agricoli
- utilizzo di monocolture intensive
Poi ci sono i fattori naturali, ovvero la predisposizione della Penisola al rischio idrogeologico. Il nostro è un territorio fragile per le caratteristiche geologiche, morfologiche e idrografiche. Un paese geomorfologicamente giovane e instabile, ricco di rocce friabili e impermeabili che favoriscono lo scivolamento in superficie dell’acqua piovana e un clima che alterna lunghi periodi di siccità a momenti di precipitazioni intense e concentrate in brevi archi temporali.
In questo scenario un’alluvione - che di per sé rappresenta un fenomeno naturale non necessariamente pericoloso – diventa facilmente una minaccia concreta. Frane e allagamenti si sommano all’azione sconsiderata dell’uomo e a politiche di cattiva gestione del territorio che negli anni hanno aggravato un quadro già molto complesso.
Intervenire dopo che certi fenomeni hanno già espresso il loro potenziale distruttivo, serve a ben poco. Per contrastare il rischio di dissesto idrogeologico occorrono interventi preventivi adeguati e una profonda consapevolezza del pericolo contro cui istituzioni e cittadini devono combattere. Così come per mitigare la pericolosità di tali eventi l’unica strada è rimuoverne le cause artificiali e naturali alla base. Ma come?
Approcci e possibili soluzioni
Ciò che nel nostro Paese sembra mancare è la volontà di prevenire i rischi. Ci si limita a contenere i danni, a rattoppare gli argini dei fiumi e i bacini con opere di contenimento e sistemi di drenaggio superficiali, ma non si fa quasi nulla per impedire che certi fenomeni si verifichino.
La cultura della prevenzione è l’approccio che esperti e ricercatori continuano ad invocare per contrastare gli effetti del deterioramento ambientale. Fare prevenzione significa intervenire con una progettualità facilmente attuabile e sostenibile, coinvolgendo attivamente la popolazione e arrestando immediatamente il consumo del suolo.
"La cultura della prevenzione è l’approccio che esperti e ricercatori continuano ad invocare per contrastare gli effetti del deterioramento ambientale".
Proprio così: dobbiamo smettere di costruire altri edifici, specie in aree di naturale pertinenza fluviale e fermare l’urbanizzazione delle periferie. Questa tendenza autodistruttiva ha causato l’impermeabilizzazione dei suoli, un processo che determina l’incapacità del terreno di trattenere l’acqua piovana con la conseguente esasperazione dei fenomeni alluvionali, delle inondazioni e delle esondazioni di fiumi, corsi d’acqua e torrenti.
La condivisione di strategie, strumenti e dati al fine di costruire e formare comunità attive è l’altro cambio di mentalità indispensabile per imboccare la giusta direzione. A nulla valgono i piani di emergenza della Protezione Civile se la popolazione non è pienamente consapevole di un problema che mette a repentaglio la sicurezza pubblica. E poi ci sono le strategie di mitigazione del rischio idrogeologico. Quelle indicate dall’ISPRA, prevedono:
- Censimento e mappatura delle aree inondabili e franabili
- La valutazione del rischio idrogeologico area per area
- L’elaborazione di un’adeguata pianificazione territoriale
- Messa in sicurezza e ristrutturazione mirata dei centri abitati ad elevato rischio
- Comunicazione e diffusione delle informazioni ai cittadini
- Recupero delle buone pratiche agricole e pastorali
- Riforestazione dei territori
- Progettazione e realizzazione di una rete di monitoraggio e allerta
Sempre l’ISPRA ha avviato il Progetto IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia) in collaborazione con le Regioni e le Province Autonome. A loro spetta il compito di raccogliere i dati sugli eventi passati e censire dettagliatamente i fenomeni franosi per consentire l’elaborazione di statistiche e mappe tematiche. Il criterio d’azione, dunque, è e deve essere multidisciplinare e condiviso, tale da consentire l’adozione di pratiche diversificate. Solo in questo modo i piani di mitigazione e salvaguardia del territorio potranno tradursi in interventi efficaci.
Alberi e piante dalla nostra parte
Un contributo importante nell’ottica della riduzione del rischio idrogeologico in Italia potrebbe essere fornito dalla riprogettazione delle aree boschive e agricole e da altri interventi di ingegneria naturalistica analoghi, volti alla riqualificazione delle aree agro-silvo-pastorali. Il recupero e l’imboschimento dei terreni agricoli in stato di abbandono così come dei pascoli degradati è fondamentale per la stabilizzazione naturale degli strati di suolo più superficiali e dei corsi d’acqua che vi scorrono.
Piantare alberi e filari arbustivi di specie autoctone, resistenti e “anti-erosione”, in particolare nei terreni acclivi o pendenti, è solo una delle strategie più facilmente perseguibili e a basso costo. Le radici degli alberi creano nel terreno una fitta rete di canali di scolo naturali che favorisce il drenaggio dell’acqua e la sua lenta distribuzioni nei vari strati del suolo.
L’impermeabilizzazione, al contrario, riduce l’assorbimento di pioggia nella terra (in alcuni casi la impedisce del tutto) e apre un pericoloso varco alla forza devastante dell’acqua, con tutte le tragiche conseguenze che essa implica.
In un terreno ricco di vegetazione e adeguatamente alberato l’acqua riesce a penetrare in profondità molto più velocemente rispetto a quello che accadrebbe su un terreno incolto e questo impedisce che acquisisca forza scivolando via. Un bel vantaggio, dunque, per non parlare delle ricadute ecologiche positive sulla biodiversità, sul clima e sulla fauna locale.
"Le Banche di Credito Cooperativo sono da sempre vocate alla tutela ambientale".
Se il verde a quanto pare è il colore della speranza, per le BCC è un vero e proprio modo di vivere, fare e pensare. Le Banche di Credito Cooperativo sono da sempre vocate alla tutela ambientale, sensibili al tema del risparmio energetico e all’utilizzo consapevole delle risorse, in coerenza con il dettato statutario che impegna ogni BCC a promuovere la crescita responsabile e sostenibile del territorio nel quale opera. Banche che credono e investono sullo sviluppo sostenibile dei territori e delle comunità di cui sono effettivamente parte attiva: un DNA solidale e una storica attitudine a sentire come propri i bisogni delle realtà locali di cui sono, attraverso i loro soci, espressione diretta.
Le BCC a fianco dei cittadini per far fronte ai danni causati dal maltempo
I violenti nubifragi che quest’estate si sono abbattuti sul nostro territorio hanno causato ingenti danni sia nel campo dell’edilizia che in quello dell’agricoltura. Per fronteggiarli le BCC sono scese in campo mettendo a disposizione risorse e finanziamenti per sostenere clienti, famiglie e imprese in difficoltà.
Il Credito Cooperativo di Brescia, ad esempio, ha offerto un plafond di 10 milioni di euro mentre la Banca di Monastier del Sole Credito Cooperativo ha stanziato 5 milioni da destinare ai lavori per l’area trevigiana della destra Piave. In provincia, anche la BCC Agrobresciano e Cassa Padana sono intervenute con un plafond pari, rispettivamente, a 10 e a 15 milioni.
In Emilia Romagna i contributi non sono stati da meno: a sostegno degli agricoltori e degli imprenditori del territorio, la BCC Ravennate, Forlivese e Imolese ha riattivato un apposito plafond di 10 milioni di euro contro le calamità naturali, mentre la BCC della Romagna Occidentale ha concesso una moratoria sui mutui a 18 mesi.
5 milioni è invece la cifra messa a disposizione dal Credito Cooperativo Romagnolo, che ha stanziato il plafond di finanziamento per i danni di esondazione, e dal consiglio di amministrazione di Banca Adri Colli Euganei Credito Cooperativo il cui contributo è stato destinato agli operatori dei settori danneggiati per far fronte al ripristino i capannoni, attrezzature e coltivazioni danneggiati dalle bombe d’acqua.